giovedì 19 settembre 2019

Discorso di Greta Thunberg davanti al Congresso U.S.A. 19.09.2019


Discorso di Greta Thunberg davanti al Congresso U.S.A.

18.09.2019


Traduzione a cura di Gabriele Chiesa.


Mi chiamo Greta Thunberg, ho 16 anni e vengo dalla Svezia. Sono felice di essere con voi qui negli Stati Uniti. Una nazione che, per molte persone, è il paese dei sogni.

Anche io ho un sogno: che governi, partiti politici ed impre3nditori comprendano l'urgenza del problema posto dal clima e dalla crisi ecologica e si uniscano superando le differenze, come è indispensabile fare in caso di emergenza, assumendo prendano le misure necessarie per salvaguardare le condizioni di tutti per una vita dignitosa sulla terra.
Se ciò accadrà, noi, milioni di giovani che in sciopero scolastico, potremo tornare a scuola.

Sogno che le persone al potere, così come i media, inizino a trattare questa crisi come l'emergenza fondamentale. Così che io possa poter tornare a casa da mia sorella e dai miei cani. Perché mi mancano.

In effetti ho molti sogni. Ma questo è l'anno 2019. Questo non è il momento e qui non è il luogo dei sogni. Questo è il momento di svegliarsi. Questo è il momento nella storia in cui abbiamo bisogno di essere completamente svegli.

Sì, abbiamo bisogno di sogni, non possiamo vivere senza sogni. Ma c'è un tempo e un luogo per tutto. E i sogni non possono realizzarsi solo raccontandoli.

Eppure, ovunque io vada, mi sembra di essere circondata da fiabe. Leader aziendali, funzionari eletti in tutti i partiti trascorrono il loro tempo a inventarsi e a raccontare favole della buona notte adatte a calmarci per farci tornare a dormire.

Queste sono storie fondate sull’idea che tutto si sistemerà da solo e senza sforzo. Sarà tutto meraviglioso quando avremo risolto tutto. Ma il problema che stiamo affrontando non è la mancanza della capacità di sognare o di immaginare un mondo migliore. Il problema ora è che dobbiamo svegliarci. È tempo di affrontare la realtà, i fatti, la scienza.

La scienza non parla essenzialmente delle grandi opportunità di creare la società che abbiamo sempre desiderato. Racconta invece di sofferenze umane taciute, che peggioreranno sempre più, tanto più ritarderemo l'azione. A meno che non iniziamo ad agire ora. E sì, ovviamente un mondo trasformato e sostenibile includerà molti nuovi vantaggi. Ma bisogna rendersi conto capire che questa non è principalmente un'opportunità per creare nuovi posti di lavoro verdi, nuove imprese o una crescita economica verde. Questa è soprattutto un'emergenza, e non una semplice emergenza. Questa è la più grande crisi che l'umanità abbia mai affrontato.

Dobbiamo agire di conseguenza in modo che le persone possano comprendere e valutare l'urgenza. Perché non si può risolvere una crisi senza trattarla come un vero pericolo. Smettiamola di dire alla gente che tutto andrà bene quando in realtà, come sembra ora, non andrà molto bene. Questa favola non è qualcosa che puoi confezionare e vendere o liquidare con i "mi piace" sui social media.

Smettiamola di fingere che tu, la tua idea imprenditoriale, il tuo partito o il tuo piano politico risolveranno tutto. Dobbiamo renderci conto che non abbiamo ancora tutte le soluzioni. Siamo molto lontani da questo. A meno che queste soluzioni non significhino semplicemente che smettiamo di fare certe cose come sempre abbiamo fatto.

Cambiare una fonte di energia disastrosa con una leggermente meno disastrosa non è un progresso. L'esportazione delle nostre emissioni all'estero non sta riducendo le nostre emissioni. La contabilità creativa non ci aiuterà. In realtà, questo è il vero cuore del problema.

Alcuni di voi potrebbero aver sentito che abbiamo a disposizione 12 anni dal 1 ° gennaio 2018 per dimezzare le nostre emissioni di anidride carbonica. Ma immagino che quasi nessuno di voi abbia sentito che esiste una probabilità del 50% di rimanere al di sotto di 1,5 gradi Celsius di innalzamento della temperatura globale al di sopra dei livelli preindustriali. Probabilità del cinquanta per cento.

Ed calcoli scientifici più ottimistici attualmente disponibili non includono punti di rottura non lineari, così come la maggior parte dei circuiti di feedback negativi restano imprevedibili, come il gas metano estremamente potente che fuoriesce dal permafrost artico che sta rapidamente scongelandosi. Oppure quello già inglobato nel riscaldamento e nascosto dall'inquinamento atmosferico tossico. Opure la questione dell'equità e della giustizia climatica.

Quindi una probabilità del 50% equivalente al lancio statistico di una moneta, non può essere sufficiente. Sarebbe moralmente indifendibile. Qualcuno di voi salirebbe su un aereo sapendo di avere il 50% di probabilità di schiantarsi? Più precisamente: vorresti mettere i tuoi figli su quel volo?

Perché è così importante rimanere al di sotto del limite di 1,5 gradi? Perché questo è ciò che la scienza unita chiede, per evitare di destabilizzare il clima, in modo da evitare una reazione a catena irreversibile ed al di fuori del controllo umano. Anche con 1 grado di riscaldamento stiamo assistendo a una perdita inaccettabile di opportunità vita e di mezzi di sussistenza a livello globale.

Quindi, da dove iniziamo? Bene, suggerirei di iniziare a guardare il capitolo 2, a pagina 108 del rapporto IPCC pubblicato l'anno scorso. Proprio lì dice che se avessimo una probabilità del 67% di limitare l'aumento della temperatura globale a meno di 1,5 gradi Celsius, il 1 ° gennaio 2018 avremmo dovuto avere un margine residuo di circa 420 Gigatonnellate di CO2 sul bilancio del biossido di carbonio. Ovviamente quel valore si è oggi drasticamente ridotto. Questo perché emettiamo circa 42 Gigatonnellate di CO2 ogni anno, includendo anche l'uso del suolo.

Con i livelli di emissioni odierni, il budget residuo a nostra disposizione scomparirà in meno di 8 anni e mezzo. Questi sono numeri, non opinioni personali. Non sono ipotesi oppure opinioni politiche. Questi sono i più fondati dati scientifici attualmente disponibili. Sebbene un gran numero di scienziati suggerisca che anche queste cifre siano troppo moderate, queste sono quelle che sono state accettate da tutte le nazioni attraverso l'IPCC.

Dobbiamo ricordarci che queste cifre sono globali e quindi non dicono nulla sull'aspetto dell'equità, come chiaramente indicato dall'accordo di Parigi, che è assolutamente necessario fare funzionare su scala mondiale. Ciò significa che i paesi più ricchi devono fare la loro parte in modo equo e ridurre le emissioni a zero molto più velocemente, in modo che le persone dei paesi più poveri possano aumentare il loro tenore di vita, costruendo ameno alcune delle infrastrutture che noi abbiamo invece già costruito, come strade, ospedali, scuole, acqua potabile pulita ed elettricità.

Gli Stati Uniti sono il più grande inquinatore di carbonio della storia. È anche il produttore numero uno al mondo di petrolio. Eppure, sono anche l'unica nazione al mondo che ha dichiarato la tua forte determinazione di lasciare l'accordo di Parigi. Perché, questa è una citazione "è stato un accordo sfavorevole per gli Stati Uniti".

Ci è rimasto un margine di 420 Gigatonnellate di emissioni di CO2, al 1 ° gennaio 2018, per avere una probabilità del 67% di rimanere al di sotto di 1,5 gradi di aumento della temperatura globale. Ora quella cifra è già scesa a meno di 360 Gt.

Mi rendo conto che questi dati sono molto scomodi. Ma le persone hanno il diritto di sapere. La stragrande maggioranza di noi non ha idea dell’esistenza di questi dati. In effetti nemmeno i giornalisti che incontro sembrano sapere che come stanno le cose, per non parlare dei politici. Eppure sembrano tutti certi che il loro piano politico risolverà l'intera crisi.

Ma come possiamo risolvere un problema che non capiamo nemmeno del tutto? Come possiamo trascurare il quadro completo ed i dati di ricerca scientifici disponibili?

Credo che ci sia un enorme pericolo nel comportarsi in questo modo. Non importa quanto politico possa essere lo sfondo di questa crisi, non dobbiamo permettere che il problema continui ad essere trattato come una questione politica di parte. Il clima e la crisi ecologica vanno oltre la politica di partito. Il nostro principale nemico in questo momento non sono i nostri avversari politici. Il nostro principale nemico ora è la fisica. Non possiamo trattare con la fisica.

Tutti dicono che fare sacrifici per la sopravvivenza della biosfera, garantendo le condizioni di vita per le generazioni presenti e future, è una cosa impossibile da fare.

Gli americani hanno effettivamente fatto enormi sacrifici per superare storiche sfide terribili.

Pensiamo ai soldati coraggiosi che si precipitarono a riva in quella prima ondata di Omaha Beach il D Day. Pensiamo a Martin Luther King ed agli altri 600 leader dei diritti civili che hanno rischiato anche la propria vita per marciare da Selma a Montgomery. Pensiamo al presidente John F. Kennedy che annunciò nel 1962 che l'America avrebbe "scelto di andare sulla luna in questo decennio e raccogliere altre sfide, non perché sono facili, ma perché sono difficili ..."
Guardiamo oltre.

Forse è impossibile. Ma guardando quei numeri possiamo leggere i dati scientifici certificati da scienziati di ogni nazione: ecco cosa abbiamo davanti.

Non possiamo lasciare trascorrere il tempo sognando, oppure restare a vedere come si concluderà la lotta politica.

Non possiamo scommettere sul futuro dei figli con il lancio di una moneta.

Dobbiamo invece unirci dietro la scienza.
Dobbiamo agire.
Dobbiamo fare l'impossibile.
Arrenderci non sarà mai un'opzione


venerdì 8 luglio 2016

Woodstock e The Floating Piers sono finiti. O no?

Avevo finora pensato che i pacchi di Christo fossero propriamente dei “pacchi”, nel senso figurato con cui in gergo si identifica negativamente la bella confezione di un imbroglio. Ciò non significa che la mia personale opinione sulle opere di questo bizzarro artista contemporaneo sia improvvisamente mutata, ma ogni fatto va sempre considerato per i frutti che produce e non sulla base di preconcetti arbitrari.
Sto imparando a considerare le cose non per ciò che si vorrebbe che siano, ma per come funzionano.
Mi sono dunque sforzato di trarre le mie conclusioni sull’installazione The Floating Piers by Christo and Jeanne-Claude sulla base di ciò che ho potuto constare per averlo vissuto.

Non sono un critico e nemmeno un semplice conoscitore d’arte. Del resto non mi interessa molto stabilire cosa è o non è arte: preferisco che sia la Storia ad occuparsi di tale questione.

Sono invece una persona che si occupa da quasi mezzo secolo di fotografia e d’immagine: questo è l’argomento che credo di saper affrontare con qualche competenza.
La disputa sull’artisticità del processo fotografico nacque nel momento stesso in cui l'invenzione fu annunciata. A tal proposito il mio pensiero coincide con il concetto espresso dal grande fotografo Edward Weston: «È arte la fotografia? Quien sabe? Chi lo sa e chi se ne frega? Mi piace!»

Sono convinto che la bontà di ogni cosa vada considerata sulla base della sua efficacia funzionale.
Una buona fotografia deve funzionare anche quando non c’è qualcuno che te la spiega.
Credo che la stessa affermazione possa valere per tutte le opere artistiche.

L’installazione di Christo Stefanov Kabakčiev sul lago d’Iseo resta un’operazione per certi aspetti democratica: non ha richiesto l’applicazione di codici culturali e chiavi semantiche per essere letta e decifrata. La gente ci ha semplicemente camminato sopra senza chiedere spiegazioni. Capisco che questo sia risultato particolarmente irritante per gli accademici che della critica d’arte fanno una professione.

Philippe Daverio, che peraltro continua ad avere la mia massima stima, intervistato da Davide Agazzi per BergamoNews, ha detto:
«L’arte è qualcosa di diverso, è altra cosa. Qui manca l’ambiguità e la complessità dell’arte vera, oltre alla ripetibilità. Uno ascolta duecento volte la fuga di Bach o ammira per centinaia di volte il Davide di Michelangelo e ogni volta percepisce una nuova sensazione. Se uno invece salisse per duecento volte sulla passerella di Christo entrerebbe nella categoria dei cretini. »

Sicuramente Daverio si intende d’arte, ma non di cammini.
Ogni volta che tu passi dal medesimo marciapiede troverai diverse condizioni di luce e di tempo meteorologico: le stagioni e le ore cambiano, ma soprattutto cambi tu e la gente che incontri. In una installazione fatta di gente che cammina è il paesaggio umano che conta in modo incontrollato e determinante. Sono stato su “The Floating Piers” due volte: il primo giorno di apertura e l’ultimo.
Ho realizzato circa 250 frammenti video ripresi in piano-sequenza ottenendo 250 micro-racconti, l’uno diverso dall’altro. Ero partito senza grandi aspettative, ma carico di curiosità e voglia di capire e sono tornato carico di stimoli, emozioni, idee e soddisfazione.
Philippe Daverio ha invece certamente ragione quando afferma che «È un po’ come le sagre di paese».

Quando l’evento venne annunciato, sorsero spontaneamente forti perplessità sull’impatto ambientale, sulla sicurezza, i costi. Immediatamente mi si presentò alla mente la parola “sarneghera”: il temuto nome di una compatta linea di fronte freddo in grado di generare in modo improvviso imponenti temporali con forti venti e pericolose ondate sul lago d’Iseo.

Subito si sono costituiti due grandi schieramenti graniticamente opposti tra i pro e i contro, due tifoserie spesso arroccate su dogmatici preconcetti, come capita di osservarne nell’integralismo religioso, sportivo o politico.

Perché spendere una quantità impressionante di risorse quando ci sono tanti bambini che annegano davanti alle stesse spiagge su cui i turisti prendono il sole d’estate?

Non so perché in qualche parte del mondo c’è gente che balla mentre altrove c’è gente che tortura.
Forse smettere di ballare non aiuterebbe chi muore nel dolore.
La consapevolezza della violenza e della fame, di tutto il male inflitto come bestemmia suprema nei confronti della vita stessa, calpesta e spezza ogni festa.

Dunque bisogna riconoscere che sussistono solide ragioni per sentirsi in colpa nel corso di feste, fiere, balli, concerti, festival, spettacoli, mostre…

Tuttavia la speranza si nutre di momenti di gioia collettiva e The Floating Piers è stato uno di questi.
Credo che questo evento, come cercherò di spiegare più avanti, sia stato più educativo ed eticamente significativo di un grande discorso all’Assemblea delle Nazioni Unite.

L’arte non si fa con ciò che è necessario ed utile. Nemmeno la scienza e la cultura.
Tuttavia il necessario e l’utile sono poi i frutti dell’arte.

L’evento è stato segnato semplicemente da ciò che è successo e quello che è accaduto ha in qualche modo cambiato la percezione condivisa di come funziona l’installazione effimera creata da un artista.

Intanto ha avuto occasione di riflettere sui sensi iniziando da vista, udito, tatto, olfatto e gusto.
La sensibilità medievale che aggiungeva il cuore come sesto senso, ma in effetti abbiamo recettori anche per rilevare calore, dolore/benessere, propriocezione ed equilibrio.

The Floating Piers ha messo in gioco alla grande i nostri recettori!
Davanti ad un quadro esercitiamo poco più che la vista.
L’installazione di Christo sul lago d’Iseo comportava invece una percezione ricca di stimoli multisensoriali, tanto da creare problemi alle persone di particolare sensibilità.
C'è stato chi ha deciso di “non andare” ma il mio amico Elio “non ci è potuto andare”: soffre di mal di mare ed era sicuro che la passeggiata sulle onde lo avrebbe fatto star male.

I bambini hanno compreso immediatamente “come funzionava”:
«Mamma, è bellissimo, sembra di stare su un gonfiabile
Per qualche adulto invece l’osservazione è stata:
«Non ricordo di avere mai camminato tanto in vita mia.»
C’era chi apprezzava la brezza, chi l’odore del lago, chi prendeva il sole…
È certo che tutto ciò si può ottenere con una semplice passeggiata, ma camminare su un galleggiante-sgargiante che segue il respiro delle onde, materno come un soffice prato d’erba, è un’altra cosa.



Si, come ha detto Philippe Daverio, è stato un po’ come partecipare ad una sagra di paese in cui ci si trova tutti in compagnia per stare serenamente bene, senza barriere. Chi ci è stato ha camminato insieme condividendo una gioia bambina, illuminati dallo stupore. Ha ascoltato mescolati i linguaggi del mondo, ha incontrato persone con kippah, turbante, velo, kefiah… Non avevo mai visto camminare insieme tanta gente così diversa, nemmeno alla Marcia della Pace Perugia-Assisi!
Eppure ci si sorrideva e persino ci si salutava scambiando battute: incredibile.
Mi è parso come quando, anni fa, si viaggiava in treno con tanti sconosciuti nello stesso scompartimento. Strano, anche questo è cambiato: oggi si sta tutti immusoniti, estranei e chiusi in difesa. Lo smartphone ha aiutato ad innalzare difese e scoraggiare ogni speranza di interazione.

Sui pontili galleggianti di Christo ho incontrato anche tante persone in carrozzella, persone che coraggiosamente incedevano con le stampelle, focomelici che giustamente e senza alcun complesso indossavano leggeri abbigliamenti da spiaggia, abili e disabili di ogni specie. La passerella galleggiante era senza barriere. Non c’erano nemmeno i “tornelli” di cui si era inizialmente parlato.

La gente ha camminato su The Floating Piers semplicemente perché “è stato bello”, senza stare tanto a domandarsi il perché, senza dovere preventivamente stabilire se stavano partecipando da protagonisti ad un evento artistico. La gioia condivisa ha caratterizzato questo evento che ha saputo coinvolgere persone di cultura e di culture profondamente diverse.

Samuele, Marta, Simone e Martina sono arrivati da Seveso Barlassina, Monza.
Vijay, bergamino indiano della Bassa bresciana, venuto con moglie e numerosa prole.
Cinzia e Roberto con i figli Mia e Davide ed il cagnetto Rudy, di Pedrengo.
Cinesi, e russi, e bulgari, tedeschi, americani, argentini, messicani, ricchi snob venuti da lontano.
Politici, attori e poveracci venuti col panino e la bottiglietta d’acqua portata da casa.
Immigrati di ogni colore e continente che si sono incontrati per caso sulla passerella galleggiante, riconoscendosi del medesimo paese ed abbracciandosi per scambiarsi baci e lacrime.
Tutti sulla stessa barca, pardon, passerella, accomunati in una democratica marcia per certi versi simile alla “danse macabre” medievale che livella ogni cammino, ma questa volta nel segno della letizia.

La consapevolezza di avere contribuito a qualcosa di speciale è anche nelle parole delle hostess e degli steward addetti alla sicurezza, come Silvia, Andrea e Marco: «Tutto prima o poi finisce, e quest’opera, per sua natura, è addirittura a tempo - dice Silvia-. Un’esperienza esaltante, anche col caldo feroce di questi giorni».

Il desiderio di comunicare la propria felicità si è pervasivamente espresso col tanto vituperato selfie che altro non significa se non “sono stato qui, sono stato bene ed ho pensato a te”. La condivisione sulla rete globale dei social non è stato altro che un immenso, universale scambio di cartoline che dicevano “saluti da Montisola”.


Qualcosa di straordinario e di storico è accaduto tra Sulzano, Montisola e l’isoletta di San Paolo.
Questo minuscolo lembo di terra, inaccessibile e sconosciuto persino ai bresciani, era collegato da due pontili galleggianti all’isola maggiore. Ben pochi ne conoscono la storia e tanti ignorano anche il nome dei proprietari. Francamente non capisco in base a quali interessati calcoli l’artista bulgaro avrebbe tratto qualche vantaggio da un presunto omaggio ai padroni dell’isolotto. Christo si è espresso chiaramente: «È difficile, è dura, ma ho 81 anni e stiamo ancora facendo progetti totalmente liberi ed indipendenti.»

Un personaggio che spende 15-18 milioni di euro di tasca sua per fare camminare la gente sull’acqua è un pazzo o un visionario. Camminare sull’acqua è una pratica che appartiene alla categoria dell’impossibile, sperimentabile solo nell’onirico o nel miracoloso, testimoniata nei Vangeli come manifestazione divina.
Eppure quasi un milione e mezzo di persone ha avuto la sensazione di camminare sull’acqua: non se ne dimenticheranno più nella loro vita e lo racconteranno ai nipoti.

Il giorno successivo alla chiusura dell’evento, nel corso dell’International Council of Museums 2016 a Milano, Christo ha pronunciato un brevissimo discorso che mi ha colpito:
«… i miei progetti sono così irrazionali, totalmente inutili e di cui nessuno ha bisogno. Qualcuno dice “sono soltanto un bonus, possiamo vivere anche senza”. Ecco perché i miei progetti non rimangono; esprimono una completa libertà, nessuno può comperarli. Ricordo che quando ho presentato The Floating Piers in America ha detto “nessuno sarà così stupido da pagare un biglietto per camminarci sopra”. No. L’opera è rimasta assolutamente gratuita. »

Questo concetto di possesso mi chiama in causa e mi fa riflettere come collezionista di fotografie antiche.
«La libertà è rivale al possesso, nessuno lo possiede… Questa installazione è di tutti quelli che ci sono passati sopra. Quando scomparirà, rimarrà il ricordo.»
Sono parole che cambiano radicalmente la percezione di bene artistico e persino la funzione degli enti museali, mettendo in discussione il confine tra virtuale e fisico, tra l’effimero ed il permanente.

«Era un'opera inutile, ma totalmente libera. L'obiettivo era quello di rendere il progetto molto fisico e non una semplice riproduzione virtuale. Non eravamo sicuri che le persone ci avrebbero camminato sopra… ma quasi un milione e mezzo di persone hanno camminato su The Floating Piers verso il nulla. Non c’era un centro commerciale né amici da raggiungere, ma si trattava di camminare senza meta, perché il progetto riguardava semplicemente una camminata ed abbiamo chiesto di camminare a piedi scalzi e questa è stata un’altra incognita. Non c’era nulla intorno a loro se non l’acqua e questa superficie sulla quale camminare. »

Come era prevedibile, molti furbi e profittatori hanno sfruttato l’evento per farci soldi con servizi di ogni genere a prezzi truffaldini, ma ciò non può essere imputato al signor Christo.
È chiaro che con oltre un milione di accessi, la percentuale degli imbecilli e dei maleducati che hanno camminato sulla passerella galleggiante raggiunge un numero decisamente significativo di presenze. Ciò ha ovviamente comportato un certo spargimento di cicche di sigaretta e rifiuti di vario genere.
L’evento ha naturalmente comportato anche alti costi indotti per la sicurezza, la tutela della salute, i trasporti, ma il territorio ha indubbiamente tratto benefici che si protrarranno a lungo nel tempo.
Delle preoccupazioni relative al corretto smaltimento dei materiali avremo tempo di occuparci: mi auguro che tutto proceda positivamente come promesso.
La sarneghera, sorvegliata speciale da un avveniristico sistema di allerta, non si è vista.
Avrei giurato che, come statisticamente prevedibile, visto che si trattava di portare un mare di gente in mezzo al lago, ci sarebbe scappato il morto… ma sono felice di essermi sbagliato.

Cosa resta?
Resta l’assenza.
Nei precedenti “pacchi” di Christo era esattamente il contrario: l’assenza che consentiva, per un breve periodo, di prendere coscienza di quanto contava qualcosa di storicamente importante che veniva temporaneamente nascosto dai teli.
Ora invece davanti a Sulzano MANCA quella inconcepibile striscia galleggiante, coperta da un tessuto arricciato e cangiante di un chiassoso giallo dalia.
Mancherà per sempre.

Restano testimonianze destinate a proseguire virtualmente questa fantastica esperienza come
http://www.video360gradi.it/floating-piers-map/

Restano milioni di foto digitali e riprese video: dall’alto, dall’acqua, da sopra… che continueranno a raccontare lo stupore e la gioia della gente che ha camminato insieme senza rendersi pienamente conto che l’opera d’arte SONO STATI LORO.

Dalla mezzanotte di domenica 3 luglio 2016 The Floating Piers ha smesso per sempre di galleggiare sul lago per iniziare a fluttuare nella storia.
Nessuno a Woodstock, presso Bethel, una piccola città rurale nello stato di New York, avrebbe immaginato che quei “Three Days of Peace & Rock Music” (tre giorni di pace e musica rock) avrebbero segnato un passaggio storico della società contemporanea. Sicuramente la popolazione locale rimase scandalizzata, schifata dal disordine, dalla promiscuità, dallo sporco e dai disagi subiti. Tutti i residenti locali, alla fine, pensarono “finalmente se ne sono andati!”

Woodstock e The Floating Piers sono finiti.
O no?

martedì 17 marzo 2015

La fotografia dei trisnonni

Vieni vieni, Amir! Vieni a vedere! Ci sono riuscita!

Uma era entusiasta del risultato e saltellava di gioia intorno al tavolo dove aveva radunato l’accozzaglia di aggeggi che aveva scovato in cantina. C’erano tre schermi piatti come i quadri antichi, ma era riuscita a farne funzionare uno solo: quello pesantissimo, di vetro con la superficie un po’ bombata.

Collegarlo all’enorme scatolone di metallo che usava suo trisnonno, quando ancora non si indossavano i witmaster, non era stato difficile. Più complicato era stato immaginare quali dispositivi collegare allo scatolone perché questo potesse funzionare e come questi andavano connessi. Una volta tutto funzionava con fili ingarbugliati, inclusa l’alimentazione che allora era solo elettrica.

Gli studi che appassionavano Uma le erano stati molto utili per capire come far ripartire quella macchina dall’aspetto rozzo e ingombrante. Stava specializzandosi con un master sulla storia dell’immagine e lo studio di quelli che un tempo erano “i computer”, grossolani e lontani progenitori degli attuali witmaster, faceva parte del programma di studi, anche se ormai perdere tempo con una tecnologia così arretrata aveva poco senso.

Non sapeva esattamente cosa cercava, né cosa avrebbe trovato, ma ora gli occhi le brillavano di soddisfazione, mentre esultava continuando a chiamare il fratello.

Riuscire a fare ripartire il computer era stato un vero colpo di fortuna. Non bastava accenderlo, così aveva provato a inserire nei vari connettori interni ed esterni tutto quello che aveva trovato in cantina e che poteva adattarsi. Alla fine, dopo avere infilato un piccolo aggeggio in una fessura frontale, lo schermo si era animato e dopo un tempo che le era parso lunghissimo, erano comparse delle figure bidimensionali. Su un rettangolo stava scritto “Images”. Aveva imparato all’università come si usava l’interfaccia di comando che al tempo del suo trisnonno chiamavano col curiosissimo termine di “mouse”.

Ora era lì, piatta come nei libri antichi, come nelle immagini che studiava alla George Eastman House, come le pitture nei musei. Non avrebbe mai potuto immaginare di poter vedere la figura di quelli che, con tutta probabilità, erano i trisnonni, giovanissimi, davanti alla Tour Eiffel, proprio in quei giorni nuovamente riaperta al pubblico dopo imponenti restauri. Com’era elegante a quei tempi, senza le strutture di consolidamento che era stato necessario aggiungere.

Bidimensionale e sgranata… con quei colori poi… il visualizzatore aveva evidentemente perso la capacità di generare i toni blu e bisognava immaginarsi le tinte che probabilmente si vedevano in origine.

Guarda Amir: ho trovato l’immagine dei trisnonni! Era eccitatissima. Sapeva che il trisnonno avrebbe chiamato “fotografia” quella figura, lo aveva studiato. Ma con suo fratello evitò di usare quel termine perché per lui la fotografia era una cosa completamente diversa e non lo avrebbe capito.

Uma sapeva invece che si chiamavano fotografie tutte le figure generate dalla luce attraverso i più diversi procedimenti che la tecnologia aveva elaborato nel corso di quasi tre secoli.

Uma conosceva le rarissime reliquie dei primi anni della storia dell’immagine fotografica: aveva persino avuto il privilegio emozionante di poterne tenere, tra le mani guantate, un esemplare! Allora non esisteva nemmeno la fotografia a colori e le tinte venivano applicate a mano da abilissimi artigiani. Immagini del passato ce n’erano in quantità, ma quelle che suo trisnonno chiamava fotografie digitali erano rarissime e si erano salvate solo quelle a cui si era dato un nuovo supporto e che erano state trasformate per salvarle.

A quei tempi, i dati erano conservati su labili memorie elettromagnetiche e tutte le “fotografie digitali” di quell’epoca erano mantenute in modo “diffuso” senza sapere dove realmente stavano, nell’infrastruttura tecnologica denominata “rete”. Poi era arrivata la CGC, connessione a consapevolezza globale, che non aveva più bisogno di cavi o rudimentali trasmissioni elettromagnetiche. L’applicazione delle nuove conoscenze di fisica quantistica aveva cambiato la storia dell’umanità sulla Terra.

Per un po’ quello che si chiamava “web” resistette nella pigra consuetudine degli anziani, progressivamente dimenticato fino al momento in cui qualcuno decise di spegnerne i gangli vitali, condannandolo alla scomparsa. I documenti fondamentali della cultura umana furono riconvertiti e passati alle nuove strutture. Miliardi e miliardi di immagini che avevano senso solo per chi le aveva prodotte, andarono persi per sempre. Costava troppo riconvertirli in quello che ora È fotografia, cioè holofeel persistente da poter maneggiare e gestire semplicemente con l’evocazione. Per qualche esemplare di particolare pregio era stata effettuata la riconversione, così come un secolo prima alcune delle antiche pellicole cinematografiche in bianco e nero erano state trasformate in exivisuals. Ma l’economia ha le sue leggi e la memoria visuale di una generazione e mezza, andò quasi interamente dissolta.

Riuscire a costruirsi un generatore elettrico per fare rivivere il computer del trisnonno era stata un’impresa di cui Uma andava orgogliosa. La sua pazienza e l’aiuto degli amici collezionisti erano stati determinanti per raggiungere il risultato finale che ora stava davanti a lei e sotto lo sguardo stupefatto del fratello.

Amir alzò la mano nel tentativo di ruotare la figura e Uma sorrise del suo gesto spontaneo: “No. Non funziona così: non è una fotografia… cioè È una fotografia... ma di inizio secolo. Non puoi toccarla”.
Amir la guardò stupefatto: stentava a credere che non si potesse adoperare una fotografia e girarsela come ti pare tra le mani. L’immagine aveva colori totalmente inattendibili e margini grumosi come se fosse stata sparata a pallini di luce. Non solo la fotografia era piatta, ma non aveva alcuna materialità perché era evidente che si trattava semplicemente di luci colorate. Insomma, Non era liscia e soprattutto non era presente. Una fotografia, impronta ed espressione stessa di presenza… era assente! Incredibile.

Stettero insieme, rapiti per un tempo indefinito, a contemplare i due volti proiettati sul vetro, guardandoli negli occhi: ci pensi? I nostri trisnonni!

Poi il generatore si arrestò e le luci colorate istantaneamente si rappresero in un punto luminoso al centro dello  schermo di vetro.

Amir si voltò verso Uma con espressione decisamente contrariata: “dove sono finiti i trisnonni?”.
Lì. Lì nello scatolone, da qualche parte, ci doveva essere una memoria magnetica o qualcosa del genere che si usava una volta. Lì c’erano le istruzioni per ricostruire l’effimero fantasma che avevano ammirato fino ad un attimo prima. Un file binario… binario! Che sciocchezza, pensò tra sé Uma: uno e zero, quando la realtà è infinita e le dimensioni sono molte più delle tre che conoscevano i trisnonni!

Ah se i trisnonni avessero avuto fotocamere holofeel a registrazione diacronica!

Riadattare alla visione umana quelle rudimentali figure “digitali” era probabilmente una battaglia persa ancora prima di iniziare.

La fotografia, cioè la tecnologia holofeel sarebbe invece durata per sempre.

O no? Uma avrebbe ancora avuto trisnipoti? sarebbero tutti dovuti andare via da questa Terra ormai esausta e consumata dai veleni, abbandonando tra i suoi rottami anche uno sterminato accumulo di immagini che ormai non testimoniavano più nulla per nessuno?

Uma non lo sapeva. Aprì il cassetto dove teneva la fotografia della nonna. Prese in mano l'unica fotografia sopravvissuta tra le memorie della sua famiglia. Era un foglio di carta lucida, come lucidi erano adesso gli occhi di Uma, che scrutava il dolce sguardo della nonna.

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martedì 3 dicembre 2013

Amori finiti e ciò che resta.

Dal diario FaceBook di un’amica.
«… Anche se mi ci erano voluti …  giorni per rendermi conto che io non valevo nulla per lui. »

Quando si ama si dona qualcosa di sé per sempre.
È qualcosa che non sarà mai reso e che non sarà dimenticato.
Quando si regala un fiore, è dato. Per sempre.
Non aspettarti di avere qualcosa in cambio.
Il fiore appassirà, ma non il ricordo.
Lascia appassire il rimpianto. Smettila di contare i giorni. Ricorda il fiore come l’hai donato, mentre svanirà il volto di chi l’ha ricevuto e scorderai lo slancio che ti spinse a quel gesto.
Tieniti stretto il ricordo dei passati momenti di gioia e apriti a quelli che verranno.
Ma saranno altri fiori ed altri volti perché il passato non torna e davanti hai ancora troppo da donare e da ricevere.

Ieri sono andato a ricevere gioiosi sorrisi e sguardi dolcissimi, in quel porto di mare di questi giorni tempestosi che è un “Centro Pastorale”.  Per avere questi doni pago tornando bambino e facendo compiti con i piccini.
In questo porto si rifugiano, almeno per poco, imbarcazioni d’ogni  genere.
Sulle panchine, sotto al grande arco che altro non è che un gigantesco dorso di libro aperto, poggiato sulla terra di un quartiere di frontiera, c’è sempre qualcuno.
Sulle sedie del barettino, sulle poltroncine dell’atrio, c’è sempre qualcuno che aspetta di non sentirsi solo.

Appena fuori dall’aula, ho trovato una giovane donna seduta a guardare nel vuoto.
-    Sai leggere in italiano?
-    Un poco

Allora ho preso il taccuino su cui disegno per spiegare “cosa è” ai piccoli amici che non conoscono il significato delle parole italiane ed ho scritto una “ricetta” in stampatello maiuscolo che ho subito consegnato.

“ALLA FINE DI TUTTO, QUELLO CHE TI RESTA DI PIÙ BELLO ED IMPORTANTE SEI TU  :-)”

È stato il sorriso più bello della giornata.

sabato 5 ottobre 2013

Il prossimo Vajont si chiama Terra

La memoria della tragedia del Vajont non parla del passato, ma del presente e del futuro.

Anche oggi la Terra manda inascoltati avvertimenti, così come la montagna emetteva  i sordi boati che la giornalista Tina Merlin descrisse prima del disastro.

Ancora oggi chi ammonisce i potenti e gli avidi, diffidandoli dal procedere nella distruzione della natura, delle risorse, dell’aria e dell’acqua, è zittito e persino denunciato per "diffusione di notizie false e tendenziose atte a turbare l'ordine pubblico".

Come allora, chi può fermare la catastrofe, preferisce sperare insensatamente che nulla accada, che la rapina possa proseguire impunemente, che chi si rende responsabile del cataclisma possa nascondersi dietro all’anonimato di una pretesa fatalità senza colpe individuali.

Così si va avanti a disboscare, perforare, cementificare, bruciare, scavare, inquinare cielo terra ed acqua, dirompere gli strati profondi delle rocce…

Il prossimo Vajont si chiama Terra: inutile fingere di non saperlo.

domenica 2 giugno 2013

Ho sognato una parata per la Festa della Repubblica



Ho sognato una parata diversa.
Squadroni di maestre e maestri, bambini, infermieri e volontari della sanità con le ambulanze, angeli e corpi di volontariato sociale... impegno per gli homeless, integrazione... pagliacci da ospedale... reparti di metalmeccanici, muratori, stradini... Majorettes e sportivi della domenica, con le loro tute colorate. Mamme e una compagnia di donne incinte... poi quelle schierate con i mezzi pesanti: carrozzine e passeggini. Le nonne coi carrelli della spesa (andavano dritti, ma era un sogno). Le fanfare degli studenti di conservatorio. Un reparto di pensionati in bicicletta. Un battaglione di migranti con le carriole colme di pomodori. Un reggimento intero di precari: i call center con le cuffiette e microfono, i postini con le casacche gialle e i loro rombanti mezzi…
Che parata gente!

giovedì 23 maggio 2013

Le carceri italiane e la violazione della Convenzione europea sui diritti dell'Uomo

Un caro amico, una persona buona come il pane, ha ceduto alla disperazione di vedere soffrire senza speranza sua madre, ormai abbandonata dai segni che comunemente riconosciamo come "vita".
La legge lo considera un omicida pericoloso e lo ha rinchiuso in una piccola cella di Canton Mombello (Brescia), insieme a tre slavi, di cui non conosce ovviamente neppure la lingua.
Canton Mombello è tristemente noto alle cronache perché è una delle strutture carcerarie italiane attualmente "funzionanti" in violazione delle convenzioni di diritto internazionale.
La Corte per i diritti umani del Consiglio d'Europa ha numerose volte ed anche recentemente condannato il sovraffollamento delle carceri italiane con una sentenza depositata a Strasburgo.
Avere un metro quadrato, o poco più, a disposizione per vivere in una cella è considerato «tortura e trattamento inumano e degradante» e viola l'articolo 3 della Convenzione europea sui diritti dell'Uomo.
«La Corte chiede alle autorità di realizzare entro un anno misure che rimedino le violazioni della Convenzione relative al sovraffollamento». Sono trascorsi 3 mesi da questa sentenza (inizio gennaio 2013) ed ancora non  è successo nulla.
In compenso accade che autentici criminali restino a piede libero, rovinando l'Italia nell'inerzia e nell'impotenza della Giustizia (quella con la "G" maiuscola).
Approfondimenti:

Canton Mombello, carcere da tortura
http://www.giornaledibrescia.it/in-citta/canton-mombello-carcere-da-tortura-1.1503543


Il ministro della Giustizia Cancellieri: "Carceri indegne di un Paese civile"
http://www.repubblica.it/politica/2013/05/23/news/cancellieri_carceri_indegne_di_un_paese_civile-59445727/


La posizione della Lega in relazione alla questione carceri: