martedì 3 dicembre 2013

Amori finiti e ciò che resta.

Dal diario FaceBook di un’amica.
«… Anche se mi ci erano voluti …  giorni per rendermi conto che io non valevo nulla per lui. »

Quando si ama si dona qualcosa di sé per sempre.
È qualcosa che non sarà mai reso e che non sarà dimenticato.
Quando si regala un fiore, è dato. Per sempre.
Non aspettarti di avere qualcosa in cambio.
Il fiore appassirà, ma non il ricordo.
Lascia appassire il rimpianto. Smettila di contare i giorni. Ricorda il fiore come l’hai donato, mentre svanirà il volto di chi l’ha ricevuto e scorderai lo slancio che ti spinse a quel gesto.
Tieniti stretto il ricordo dei passati momenti di gioia e apriti a quelli che verranno.
Ma saranno altri fiori ed altri volti perché il passato non torna e davanti hai ancora troppo da donare e da ricevere.

Ieri sono andato a ricevere gioiosi sorrisi e sguardi dolcissimi, in quel porto di mare di questi giorni tempestosi che è un “Centro Pastorale”.  Per avere questi doni pago tornando bambino e facendo compiti con i piccini.
In questo porto si rifugiano, almeno per poco, imbarcazioni d’ogni  genere.
Sulle panchine, sotto al grande arco che altro non è che un gigantesco dorso di libro aperto, poggiato sulla terra di un quartiere di frontiera, c’è sempre qualcuno.
Sulle sedie del barettino, sulle poltroncine dell’atrio, c’è sempre qualcuno che aspetta di non sentirsi solo.

Appena fuori dall’aula, ho trovato una giovane donna seduta a guardare nel vuoto.
-    Sai leggere in italiano?
-    Un poco

Allora ho preso il taccuino su cui disegno per spiegare “cosa è” ai piccoli amici che non conoscono il significato delle parole italiane ed ho scritto una “ricetta” in stampatello maiuscolo che ho subito consegnato.

“ALLA FINE DI TUTTO, QUELLO CHE TI RESTA DI PIÙ BELLO ED IMPORTANTE SEI TU  :-)”

È stato il sorriso più bello della giornata.

sabato 5 ottobre 2013

Il prossimo Vajont si chiama Terra

La memoria della tragedia del Vajont non parla del passato, ma del presente e del futuro.

Anche oggi la Terra manda inascoltati avvertimenti, così come la montagna emetteva  i sordi boati che la giornalista Tina Merlin descrisse prima del disastro.

Ancora oggi chi ammonisce i potenti e gli avidi, diffidandoli dal procedere nella distruzione della natura, delle risorse, dell’aria e dell’acqua, è zittito e persino denunciato per "diffusione di notizie false e tendenziose atte a turbare l'ordine pubblico".

Come allora, chi può fermare la catastrofe, preferisce sperare insensatamente che nulla accada, che la rapina possa proseguire impunemente, che chi si rende responsabile del cataclisma possa nascondersi dietro all’anonimato di una pretesa fatalità senza colpe individuali.

Così si va avanti a disboscare, perforare, cementificare, bruciare, scavare, inquinare cielo terra ed acqua, dirompere gli strati profondi delle rocce…

Il prossimo Vajont si chiama Terra: inutile fingere di non saperlo.

domenica 2 giugno 2013

Ho sognato una parata per la Festa della Repubblica



Ho sognato una parata diversa.
Squadroni di maestre e maestri, bambini, infermieri e volontari della sanità con le ambulanze, angeli e corpi di volontariato sociale... impegno per gli homeless, integrazione... pagliacci da ospedale... reparti di metalmeccanici, muratori, stradini... Majorettes e sportivi della domenica, con le loro tute colorate. Mamme e una compagnia di donne incinte... poi quelle schierate con i mezzi pesanti: carrozzine e passeggini. Le nonne coi carrelli della spesa (andavano dritti, ma era un sogno). Le fanfare degli studenti di conservatorio. Un reparto di pensionati in bicicletta. Un battaglione di migranti con le carriole colme di pomodori. Un reggimento intero di precari: i call center con le cuffiette e microfono, i postini con le casacche gialle e i loro rombanti mezzi…
Che parata gente!

giovedì 23 maggio 2013

Le carceri italiane e la violazione della Convenzione europea sui diritti dell'Uomo

Un caro amico, una persona buona come il pane, ha ceduto alla disperazione di vedere soffrire senza speranza sua madre, ormai abbandonata dai segni che comunemente riconosciamo come "vita".
La legge lo considera un omicida pericoloso e lo ha rinchiuso in una piccola cella di Canton Mombello (Brescia), insieme a tre slavi, di cui non conosce ovviamente neppure la lingua.
Canton Mombello è tristemente noto alle cronache perché è una delle strutture carcerarie italiane attualmente "funzionanti" in violazione delle convenzioni di diritto internazionale.
La Corte per i diritti umani del Consiglio d'Europa ha numerose volte ed anche recentemente condannato il sovraffollamento delle carceri italiane con una sentenza depositata a Strasburgo.
Avere un metro quadrato, o poco più, a disposizione per vivere in una cella è considerato «tortura e trattamento inumano e degradante» e viola l'articolo 3 della Convenzione europea sui diritti dell'Uomo.
«La Corte chiede alle autorità di realizzare entro un anno misure che rimedino le violazioni della Convenzione relative al sovraffollamento». Sono trascorsi 3 mesi da questa sentenza (inizio gennaio 2013) ed ancora non  è successo nulla.
In compenso accade che autentici criminali restino a piede libero, rovinando l'Italia nell'inerzia e nell'impotenza della Giustizia (quella con la "G" maiuscola).
Approfondimenti:

Canton Mombello, carcere da tortura
http://www.giornaledibrescia.it/in-citta/canton-mombello-carcere-da-tortura-1.1503543


Il ministro della Giustizia Cancellieri: "Carceri indegne di un Paese civile"
http://www.repubblica.it/politica/2013/05/23/news/cancellieri_carceri_indegne_di_un_paese_civile-59445727/


La posizione della Lega in relazione alla questione carceri:

sabato 6 aprile 2013

Memorie cancellate e ritorno dell’Era Fascista

Il fastoso basamento in stile littorio in piazza Vittoria è ormai pronto ad accogliere la statua dedicata all’Era Fascista che la nostra amministrazione comunale ha, con tanta determinazione, voluto riedificare.

La balaustra che contorna la piscina sottostante è, a mio parere, ancor più brutta ed architettonicamente arbitraria di quella di epoca fascista. Non credevo si potesse fare di peggio, ma l’impegno, pur nella penuria di fondi, non è evidentemente mancato.

A chi si opponeva è stato obiettato che il rifiuto dei simboli fascisti avrebbe dovuto coerentemente comportare, ad esempio, la demolizione dell’EUR. Un conto è però far pace con ciò che resta ed un altro il restaurare ciò che la storia ed il tempo hanno condannato.

Ricordo che questa operazione non consiste in un semplice riposizionamento.
La statua dell’impettito omaccione che i Bresciani chiamarono subito Bigio, era in realtà ormai gravemente danneggiata dall’esplosione di cariche di dinamite che ne avevano distrutto una gamba ed un braccio. Questo per comprendere quanto il monumento fosse amato da chi aveva subito violenze o perso persone care sotto l’oppressione del fascismo. Dunque quello che, a quanto pare, vedremo ricollocato, è una statua appositamente ricostruita, inclusa la foglia di fico, posta a ricoprire i genitali marmorei, che in origine erano esposti al pubblico apprezzamento o, se si vuole, al ludibrio popolare.
Tanta costosa premura restauratrice, degna di miglior causa, mi ha fatto rammentare che di ben altre tracce porta testimonianza la città di Brescia

Ricordavo memorie di sangue, di pietra e d’amore nella mia Brescia.
Segni di un recente passato di resistenza e liberazione fissati sui muri della città, dove furono fucilati giovani generosi che morirono per la democrazia e la giustizia. Caduti martiri  affinché tutti e ciascuno fossimo cittadini con diritti e non sudditi ridotti a sollecitare concessioni personali.

Ricordavo in particolare due lapidi che mi avevano colpito da ragazzo. Mi avevano fatto capire che la lotta di liberazione dal fascismo non era stata solo storia di scontri lontani, su nelle valli, ma anche storia di parole stampate e distribuite di nascosto tra persone fidate, di ricatti, di torture, di fucilazioni per strada.

Pensavo di ritrovare queste lastre di marmo dove le ricordavo: si passa e si ripassa tante volte sotto alla medesima finestra e ben raramente si alza lo sguardo a cercar conferma di ciò che conosciamo o a scoprire qualcosa che non sospettavamo.

Così ho trovato un muro vuoto. In via Sostegno c’era una targa in pietra che ricordava i partigiani qui fucilati, contro il muraglione che costeggia la ferrovia, proprio a fianco della chiesa di Santa Maria in Silva.

Ragazzi fucilati senza formalità, a due passi dal centro cittadino, nell’illusione de soffocare il respiro della libertà. C’erano i loro nomi e la data. Resto indignato per questa ingiustificabile scomparsa.
Cercherò i loro nomi e tornerò a scriverli su quel muro.
Il muro in via Sostegno: qui vennero fucilati alcuni partigiani.
La targa che ricordava il loro sacrificio è scomparsa.
Sono andato a cercare un’altra lapide: stava nella ‘fossa dei martiri’ in castello: rimossa.
Anche qui i nomi delle giovani vite soppresse sono scomparsi.
Nel 1999 fu posta una nuova generica targa che riunisce la memoria dei partigiani a quella dei patrioti della rivolta delle Dieci Giornate. Le parole ‘Resistenza’ e  ‘Liberazione’ non compaiono, quasi si avesse timore di rievocarle: più soave suona quel ‘ribelli per amore’ che alle nuove generazioni apparirà forse carico di enigmatiche connotazioni.

Nuova lapide commemorativa del 1999
Lapide in Castello: Fossa dei Martiri

Fuori i nomi:
voglio i nomi di quei ragazzi incisi sui muri e nelle piazze dove sono caduti guardando il cielo.

Li rivoglio al loro posto.



Li voglio in un posto nuovo, meritato dal loro generoso cuore.


Tutti incisi intorno alla balaustra a circondare quel giovane di marmo bianco.

In centro: nel cuore di Brescia, perché i Bresciani non possano dimenticare.



  « El Bigio Sif vo 'l sior Bigio? oho dise, che maniere de müsüraga i pign a chei che pasa, e de ardà töc' con che la bröta cera! Nom culpa no si va mes nǚt en piasa? Sif forse gnec per via de che la foia che va töt el piö mei de la osta fama? Dif pas! Perché a la zent de buna oia, ghe amò töt el de dre del panorama. Certo chi va fat tort a daf la cacia, quand pense che ghè tanc' che stares be mandai en giro con la foia en facia. Sti miga le a 'nrabif, che l'è on'ocada. Quand va ve a tir de chei che pense me, Nient pign; l'è a trop ona cicada. »

« Il Bigio Siete voi il signor Bigio? Oh dico, che maniere di mostrare i pugni a quelli che passano, e di guardare tutti con quella brutta cera! Abbiamo colpa noi se vi hanno messo nudo in piazza? Siete forse irritato per via di quella foglia che vi ha tolto il meglio della vostra fama? Datevi pace! Perché per la gente di buona voglia, c'è ancora tutto il di dietro del panorama. Certo che vi fanno torto a perseguitarvi, quando penso che ce ne sono tanti che starebbero bene mandati in giro con la foglia in faccia. Non stia lì ad arrabbiarsi, che è una sciocchezza. Quando vi vengono a tiro alcuni di quelli che penso io, Niente pugni; è già troppo uno sputo. »

(Rasighì, su "Brixia Fidelis", 1939)