martedì 17 marzo 2015

La fotografia dei trisnonni

Vieni vieni, Amir! Vieni a vedere! Ci sono riuscita!

Uma era entusiasta del risultato e saltellava di gioia intorno al tavolo dove aveva radunato l’accozzaglia di aggeggi che aveva scovato in cantina. C’erano tre schermi piatti come i quadri antichi, ma era riuscita a farne funzionare uno solo: quello pesantissimo, di vetro con la superficie un po’ bombata.

Collegarlo all’enorme scatolone di metallo che usava suo trisnonno, quando ancora non si indossavano i witmaster, non era stato difficile. Più complicato era stato immaginare quali dispositivi collegare allo scatolone perché questo potesse funzionare e come questi andavano connessi. Una volta tutto funzionava con fili ingarbugliati, inclusa l’alimentazione che allora era solo elettrica.

Gli studi che appassionavano Uma le erano stati molto utili per capire come far ripartire quella macchina dall’aspetto rozzo e ingombrante. Stava specializzandosi con un master sulla storia dell’immagine e lo studio di quelli che un tempo erano “i computer”, grossolani e lontani progenitori degli attuali witmaster, faceva parte del programma di studi, anche se ormai perdere tempo con una tecnologia così arretrata aveva poco senso.

Non sapeva esattamente cosa cercava, né cosa avrebbe trovato, ma ora gli occhi le brillavano di soddisfazione, mentre esultava continuando a chiamare il fratello.

Riuscire a fare ripartire il computer era stato un vero colpo di fortuna. Non bastava accenderlo, così aveva provato a inserire nei vari connettori interni ed esterni tutto quello che aveva trovato in cantina e che poteva adattarsi. Alla fine, dopo avere infilato un piccolo aggeggio in una fessura frontale, lo schermo si era animato e dopo un tempo che le era parso lunghissimo, erano comparse delle figure bidimensionali. Su un rettangolo stava scritto “Images”. Aveva imparato all’università come si usava l’interfaccia di comando che al tempo del suo trisnonno chiamavano col curiosissimo termine di “mouse”.

Ora era lì, piatta come nei libri antichi, come nelle immagini che studiava alla George Eastman House, come le pitture nei musei. Non avrebbe mai potuto immaginare di poter vedere la figura di quelli che, con tutta probabilità, erano i trisnonni, giovanissimi, davanti alla Tour Eiffel, proprio in quei giorni nuovamente riaperta al pubblico dopo imponenti restauri. Com’era elegante a quei tempi, senza le strutture di consolidamento che era stato necessario aggiungere.

Bidimensionale e sgranata… con quei colori poi… il visualizzatore aveva evidentemente perso la capacità di generare i toni blu e bisognava immaginarsi le tinte che probabilmente si vedevano in origine.

Guarda Amir: ho trovato l’immagine dei trisnonni! Era eccitatissima. Sapeva che il trisnonno avrebbe chiamato “fotografia” quella figura, lo aveva studiato. Ma con suo fratello evitò di usare quel termine perché per lui la fotografia era una cosa completamente diversa e non lo avrebbe capito.

Uma sapeva invece che si chiamavano fotografie tutte le figure generate dalla luce attraverso i più diversi procedimenti che la tecnologia aveva elaborato nel corso di quasi tre secoli.

Uma conosceva le rarissime reliquie dei primi anni della storia dell’immagine fotografica: aveva persino avuto il privilegio emozionante di poterne tenere, tra le mani guantate, un esemplare! Allora non esisteva nemmeno la fotografia a colori e le tinte venivano applicate a mano da abilissimi artigiani. Immagini del passato ce n’erano in quantità, ma quelle che suo trisnonno chiamava fotografie digitali erano rarissime e si erano salvate solo quelle a cui si era dato un nuovo supporto e che erano state trasformate per salvarle.

A quei tempi, i dati erano conservati su labili memorie elettromagnetiche e tutte le “fotografie digitali” di quell’epoca erano mantenute in modo “diffuso” senza sapere dove realmente stavano, nell’infrastruttura tecnologica denominata “rete”. Poi era arrivata la CGC, connessione a consapevolezza globale, che non aveva più bisogno di cavi o rudimentali trasmissioni elettromagnetiche. L’applicazione delle nuove conoscenze di fisica quantistica aveva cambiato la storia dell’umanità sulla Terra.

Per un po’ quello che si chiamava “web” resistette nella pigra consuetudine degli anziani, progressivamente dimenticato fino al momento in cui qualcuno decise di spegnerne i gangli vitali, condannandolo alla scomparsa. I documenti fondamentali della cultura umana furono riconvertiti e passati alle nuove strutture. Miliardi e miliardi di immagini che avevano senso solo per chi le aveva prodotte, andarono persi per sempre. Costava troppo riconvertirli in quello che ora È fotografia, cioè holofeel persistente da poter maneggiare e gestire semplicemente con l’evocazione. Per qualche esemplare di particolare pregio era stata effettuata la riconversione, così come un secolo prima alcune delle antiche pellicole cinematografiche in bianco e nero erano state trasformate in exivisuals. Ma l’economia ha le sue leggi e la memoria visuale di una generazione e mezza, andò quasi interamente dissolta.

Riuscire a costruirsi un generatore elettrico per fare rivivere il computer del trisnonno era stata un’impresa di cui Uma andava orgogliosa. La sua pazienza e l’aiuto degli amici collezionisti erano stati determinanti per raggiungere il risultato finale che ora stava davanti a lei e sotto lo sguardo stupefatto del fratello.

Amir alzò la mano nel tentativo di ruotare la figura e Uma sorrise del suo gesto spontaneo: “No. Non funziona così: non è una fotografia… cioè È una fotografia... ma di inizio secolo. Non puoi toccarla”.
Amir la guardò stupefatto: stentava a credere che non si potesse adoperare una fotografia e girarsela come ti pare tra le mani. L’immagine aveva colori totalmente inattendibili e margini grumosi come se fosse stata sparata a pallini di luce. Non solo la fotografia era piatta, ma non aveva alcuna materialità perché era evidente che si trattava semplicemente di luci colorate. Insomma, Non era liscia e soprattutto non era presente. Una fotografia, impronta ed espressione stessa di presenza… era assente! Incredibile.

Stettero insieme, rapiti per un tempo indefinito, a contemplare i due volti proiettati sul vetro, guardandoli negli occhi: ci pensi? I nostri trisnonni!

Poi il generatore si arrestò e le luci colorate istantaneamente si rappresero in un punto luminoso al centro dello  schermo di vetro.

Amir si voltò verso Uma con espressione decisamente contrariata: “dove sono finiti i trisnonni?”.
Lì. Lì nello scatolone, da qualche parte, ci doveva essere una memoria magnetica o qualcosa del genere che si usava una volta. Lì c’erano le istruzioni per ricostruire l’effimero fantasma che avevano ammirato fino ad un attimo prima. Un file binario… binario! Che sciocchezza, pensò tra sé Uma: uno e zero, quando la realtà è infinita e le dimensioni sono molte più delle tre che conoscevano i trisnonni!

Ah se i trisnonni avessero avuto fotocamere holofeel a registrazione diacronica!

Riadattare alla visione umana quelle rudimentali figure “digitali” era probabilmente una battaglia persa ancora prima di iniziare.

La fotografia, cioè la tecnologia holofeel sarebbe invece durata per sempre.

O no? Uma avrebbe ancora avuto trisnipoti? sarebbero tutti dovuti andare via da questa Terra ormai esausta e consumata dai veleni, abbandonando tra i suoi rottami anche uno sterminato accumulo di immagini che ormai non testimoniavano più nulla per nessuno?

Uma non lo sapeva. Aprì il cassetto dove teneva la fotografia della nonna. Prese in mano l'unica fotografia sopravvissuta tra le memorie della sua famiglia. Era un foglio di carta lucida, come lucidi erano adesso gli occhi di Uma, che scrutava il dolce sguardo della nonna.

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